Tokyo suggestione e paradosso Shinjuku
Suggestione e paradosso Shinjuku
Quel che mi resta del viaggio in Giappone, per la precisione due, il secondo incentrato completamente sulla capitale Tokyo, è un’enorme suggestione.
L’approccio migliore per affrontare questo Paese, così distante e diverso da noi è, forse, non aspettarsi nulla: non prepararsi come spesso erroneamente il turista concitato suole fare, ma lasciarsi vivere e trasportare dalle immagini che impariamo a decifrare sul posto.
Basta uno sguardo attento e acuto, se sagace meglio, e faremo già parte del rutilante e fiabesco mondo del regno della post-tecnologia e dei post-sentimenti.
Insomma, viverlo da veri “viaggiatori” e, senza alcuna retorica, smettere i panni del turista” sofisticato” e/o “per caso”.
Il Giappone mi è entrato dentro poiché, oltre alla storia e situazione politica del Paese, che conosco e conoscevo per studi personali universitari e non solo, ne avevo letto molto, cullandomi nell’adolescenza con Banana Yoshimoto e poi, in età più adulta, con Haruki Murakami.
Romanzi, letture, il cinema di Takeshi Kitano e molti altri ancora.
Sciorinare nomi e cognomi non serve a molto.
Nel dovere consigliare il Giappone come meta di viaggio, ribadisco lo farei proprio a quanti si ritengono, per formazione, costume e approccio poco tecnologici, anzi dei veri alieni della rete, con cognizioni base della informatica declinata e applicata in tutte le dimensioni possibili.
L’impatto sarà enorme. Ve lo assicuro.
L’inimmaginabile s’invera e, come prigionieri di una malia, un’alchimia, non potremo più fare a meno di volere sperimentare tutto: le enormi vetrine con i jeans più variegati di Osaka.
Spingerci nelle ruote panoramiche in vetro che verticalmente toccano altri pianeti, per osservare il resto del Giappone dall’alto.
Perlustrare negozi e ristoranti, assaporare incantevoli e fumanti zuppe di udon, perderci e addormentarci nella mistica di straordinari templi buddisti.
Il Giappone che ho avuto la fortuna di potere viaggiare e approfondire un poco è quello centrale.
Il giro più classico, attraversando la città di Osaka per visitare la capitale più antica dell’isola, Nara, quindi i templi di Kyoto, la città di Nagoya e, infine, Tokyo con una digressione marittima nella penisola a sud della megalopoli.
Conservo il ricordo nitido, legittima invidia, per l’estrema funzionalità dei servizi, dei mezzi di trasporto in particolare; custodisco pervicacemente l’ammirazione per immagini di architetture futuriste, grattacieli impossibili, sofisticate luci al neon con relativi rumori metallici, robotici, che t’inseguono ovunque.
Ancora, mantengo intatta l’ammirazione per l’ordine, il silenzio della gente, l’assenza del vociare e dei crocicchi cui siamo abituati da noi.
Tutto è enorme, preciso, ordinato, rispondente a ferrei regolamenti che si traducono in estrema civiltà, rispetto del prossimo e pudore.
Lo vedi ovunque: nelle metropolitane, nelle file per entrare nei musei o per accedere ad un parco divertimenti come in ogni normale negozio e ambiente.
È instillata, in questo popolo, la cultura del rispetto, del pudore e della discrezione.
Una rivoluzione di sentimenti che devasta e fa uscire il genio.
Non mancano i sentimenti e le distopie, le fragilità, semplicemente sono incanalate e vissute diversamente.
Le leggende suffragate anche da statistiche, verosimili, vogliono che in Giappone esista una enorme quantità di suicidi, perlopiù per amore, per frenesie lavorative, per distonie improvvise, desideri troppo covati e non risolti, moti erratici quanto improvvisi di ribellione.
Ma, ammesso siano dati veri, quello giapponese è anche in assoluto il popolo più longevo e sano al mondo.
Molti ricercatori e medici ne studiano, infatti, proprio l’alimentazione, per correlarla all’assenza di molte malattie. Se dovessi rappresentare il Giappone con un libro, senza alcuna esitazione sarebbe
Un’isola dove si sovrappongono più piani di lettura, più percezioni e mondi paralleli.
Quello ordinato e quello disordinato, quello reale e l’altro degli gnomi che ordiscono una rivoluzione segreta.
L’isola delle doppie lune, dove la seconda esiste solo nel passaggio dal reale all’immaginifico, e non tutti ne hanno capacità o possibilità di effettuare il passaggio, accendere e spegnere l’interruttore.
La duttilità è prodotta dall’esperienza.
La consapevolezza di entrare e uscire dalla frenesia tecnologica, di sapere sempre rispettare le regole di un enorme gioco ma, volendo, anche la possibilità di fantasticare e fuggire altrove attraverso l’arte, il viaggio, un altro gioco fatto di regole diverse.
Tutto è ordinato ma vive di un moto interiore, profondo e struggente. Il resto sta a voi viaggiatori scoprirlo.
Se partirete equipaggiati con un buon inglese è importante sapere che non sarà sufficiente.
Un altro mito da sfatare è che i giapponesi parlino fluentemente l’inglese, idioma conosciuto solo nelle grandi catene e strutture alberghiere, il che ci costringe all’antico linguaggio dei gesti di cui noi siamo padroni.
E qui l’altra incognita: i giapponesi non ragionano per gesti, ma per ideogrammi, come d’altronde scrivono.
Anche questo costerà un proficuo quanto meraviglioso, continuo, confronto.
Perdersi nelle metropolitane e fare trascorrere diversi minuti prima di comprendere come acquistare un biglietto. Il prezzo di quest’ultimo è sempre variabile e tarato sulla lunghezza da percorrere.
Una volta sul mezzo, le velocità impressionanti per compiere distanze siderali in poche sparute ore, ci regaleranno la percezione d’essere sempre fermi, mai partiti.
L’altra differenza, abissale, è quella del mondo metropolitano, più avanti di noi in tutto.
Che si traduce nella possibilità egualitaria di soddisfare qualsiasi tipo di bisogno e curiosità in modo efficace e veloce.
Alla megalopoli fa da contro altare, qualche chilometro più in là, il paesaggio rurale della campagna.
Qui il tempo sembra essersi fermato e continua a scandirsi al ritmo delle coltivazioni, della pesca, delle nasse, dei pediluvi e dei famosi bagni pubblici.
Il pesce, neanche a dirlo, la fa da padrone.
Gli amanti del sushi saranno sicuramente lusingati e soddisfatti, anche se è possibile trovare e sperimentare qualsiasi tipo di cucina.
La carne di Kobe è particolarmente pregiata.
Cosa dire?
Partite e osservate.
Sedetevi in un bar a vetri, dove possibilmente poter scrutare il movimento interno e quello esterno, dei passanti.
Entrate ovunque, improvvisatevi in gestualità, misuratevi nelle reazioni.
La metro resta, sul finire di ogni giornata, il luogo privilegiato d’osservazione.
Dai vagoni, quando il Giappone sta per addormentarsi, nella seconda serata, si può osservare tutto quello che durante il giorno è stato custodito e costretto in leggi e consuetudini ferree.
Profili ciondolanti, adagiati su sedili, sovente inebriati d’alcool, intere scolaresche in divisa, capelli ossigenati e pelle abbronzata per somigliare il più possibile all’Occidente.
Alla base del monte ci sono degli onsen, dei bagni termali, pubblici e privati, dove anche d’inverno puoi ristorarti godendo di questa spettacolare visione, immerso nel silenzio e in acque termali, calde.Uno spettacolo surreale.
Perfino, qualche occhio operato, per farne aumentare la grandezza e cambiarne fisionomia.
Perlopiù vezzi. Cravatte allentate, camicie sbottonate, baci rubati.
Durerà l’attimo di una scossa, qualche fermata della metro, forse qualche secondo dei frequenti terremoti, e il giorno dopo vi sembrerà che nullo sia mai accaduto.
Buon viaggio!
David Giacanelli
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